NEW SHAKESPEARE
TRA I PERSONAGGI
&
L’INDIFFERENZA
DAL PUNTO DI
VISTA DELLE COSE
Intervista a FABIO
CIOFI
a cura di
Giuseppe Iannozzi
Fabio Ciofi, nato a
Casole d’Elsa, il 10.09.1962. Laureato in filosofia all’Università di Siena.
Ha collaborato per diversi anni come corrispondente locale per diversi
quotidiani quali “Nazione Siena”,”La Gazzetta di Siena”, “Il Cittadino” e
altri.
Principali pubblicazioni:
- “Efemera e oltre”, Lalli, Poggibonsi, 1990. Poesia.
- “Prendi ad
esempio me”, Guerini e associati, Milano, 1993. Poesia.
- “Non a
caso”, Mobydick, Faenza, 1997. Poesia.
- “Vae victis”, Joker, Novi
Ligure, 2000. Poesia.
- “Il paese di C.”, Mobydick, Faenza, 2001.
Racconti.
- “I Personaggi”, Il Foglio Letterario, 2004. Romanzo
- “L’indifferenza dal punto di vista delle cose”, Lietocolle, 2004. Poesia
___________________________
1.
Chi è Fabio Ciofi, poeta e scrittore?
E’ uno che ha cominciato a scrivere per il motivo più bello e banale al tempo
stesso: per amore. Un amore ferito, naturalmente, non corrisposto. Al quale ha
pensato di ribattere con rabbia attraverso l’espressione poetica. Io nasco in
versi, se così si può dire, nel senso che tutto ciò che ho iniziato a comporre
prevedeva la struttura metrica e l’andare a capo non perché il rigo finiva, ma
per necessità “emotiva”. La prosa è una conquista matura, forse concomitante con
la parte finale, e più corposa, degli studi filosofici, che hanno acuito in me
la tendenza alla riflessione e alla sentenza. Studi filosofici che ancora mi
porto dietro quale inseparabile coperta di Linus. Credo che la filosofia, ma in
particolare l’attitudine al pensare, sia esercizio indispensabile per chi voglia
scrivere del mondo e dei suoi più svariati aspetti. Uomo compreso.
2. Come ti sei
avvicinato alla poesia? E al romanzo?
La poesia
mi è venuta incontro attraverso un medium d’eccezione: Montale. Lo studiavo a
scuola, alle medie inferiori, soprattutto la lettura degli “Ossi” è stata per me
una rivelazione, mi ha fatto capire in che direzione doveva andare il mio
impegno, il mio modo di dire le cose. Poi il resto lo devo a due persone
straordinarie, Attilio Lolini e Franco Buffoni, i primi a credere nelle capacità
del sottoscritto e a passare, dal solito giudizietto di maniera, ai fatti
concreti. Ma a dire il vero, per completezza, il mio ricordo e il tributo più
grande va a due maestri, che ho avuto l’onore di conoscere ancora in vita: il
mio “quasi” compaesano Romano Bilenchi, a casa del quale ho passato momenti
incredibili, ammaliato dai suoi racconti sulle sue esperienze giornalistiche, la
Resistenza, il suo dissidio col Pci, insomma, una pagina di storia. Per non dire
dei gustosissimi aneddoti che ogni volta sciorinava sul mondo editoriale e i
suoi primattori e comparse. Senza entrare nello specifico, davvero si trattava
di ritratti indimenticabili. Grazie a Romano, in seguito, ho avuto la
possibilità di conoscere uno dei maggiori poeti del novecento, Giorgio Caproni.
Al grande livornese le mie poesie piacquero e mi spronò a continuare. Inutile
dire che ho seguito il suo consiglio.
Per quanto riguarda il romanzo,
l’approccio è stato molto più variegato. Nel senso che ho spaziato dai
grandi russi come Gogol e Dostoevskij a Kafka, Musil, Bernhard(che a mio
modesto parere rimane una delle vette assolute della narrativa mondiale), ai
contemporanei de Lillo e Pynchon passando per Vonnegut, Mailer, Richler
(immenso), Palahniuk, ecc.. Adesso non vorrei mettermi lì a fare l’elenco
completo. Dico solo che “au bout de la nuit” sono arrivati Céline, Proust e
Joyce. Poi si è trattato di “assemblarli”, e l’assemblaggio è tuttora in
corso ed è di una difficoltà infinita.
3. Che cosa ha significato per te scrivere un romanzo come
“I Personaggi”? Quali le difficoltà a livello personale nell’affrontarne
la stesura?
Intanto scrivere un romanzo ha per
me significato mettermi alla prova. Fino a quel momento avevo scritto solo
racconti, confluiti nella raccolta “Il paese di C.” per Mobydick, nel 2001; a
livello personale posso dirti che si è trattato di una esperienza intensissima,
nel senso che ho cominciato a scriverlo a inizio estate 2003 ed a fine agosto
era praticamente concluso. Lo definirei, nonostante le successive limature e
rifiniture, un romanzo “di getto” e per uno che si era pressoché convinto della
propria incapacità a scrivere un romanzo, è stato davvero come uno shock. Certo
è un romanzo atipico, non tradizionalmente inteso, ma in fondo il novecento è il
secolo della “morte del romanzo”, secolo cioè che ha visto il sorgere di
formidabili pagine di narrativa tutte non tradizionalmente intese, eppure
strepitose.
4. “I Personaggi” è un romanzo che, per
certi versi, ha rappresentato – e rappresenta – un mezzogiorno di fuoco
editoriale: onde fugare possibili dubbi e cattive interpretazioni da parte
dei lettori e dei critici, nel tuo romanzo c’è anche accusa contro il sistema
editoriale o, più semplicemente, è un romanzo che racconta una storia?
Il romanzo in primis racconta una storia, non come detto una
storia tradizionale con tanto di inizio, centro e fine il tutto miscelato in
giuste proporzioni e coi perfetti tempi narrativi. E’ volutamente una storia
magmatica che ha per protagonista un personaggio similparanoico ma che non
lo è, che finge di sdoppiarsi per liberarsi dal peso di una cappa
angosciante: la cappa della mediocrità. Ecco che allora, libero da ogni
freno inibitorio e convenzione sia individuale che collettiva e sociale, si
inventa un personaggio iconoclasta che dà sfogo a tutto il senso di
oppressione che si porta dentro e che lui individua nel fatto di “subire
gravi ingiustizie” un po’ ovunque: nel lavoro, nell’amore, nel destino e,
last but not least, in quella che lui considera la sua grande missione:
scrivere. Io dico che la storia ha una sua valenza, forte valenza, mi
permetto di dire, universale, poiché pur partendo da una base
autobiografica(il lavoro, la scrittura, ecc.), può benissimo adattarsi a
migliaia, milioni di vite in conflitto con se stessi e con le proprie
attitudini, il loro modo di vita non sempre scelto e/o cercato.
Nello specifico, riguardo al mondo editoriale, è sfuggito a molti l’intento
stilisticamente provocatorio di questo libro(non a te Giuseppe): questo
libro è scritto “in un certo modo” per parodiare lo scrivere “in un certo
modo”. Purtroppo molti hanno stoltamente individuato nell’assenza di
punteggiatura(ma riprenderemo il discorso) una semplice volontà
“neoavanguardieggiante” che manco mi è passata nell’anticamera della mente.
5.
Nell’Introduzione a “I Personaggi”, il sottoscritto
scrive: “…l’Autore non dà semplice stura allo sfogo artistico-espressivo di
denuncia tanto per abbaiare: è una storia completa quella che Ciofi racconta,
una storia lunga, dove i personaggi sono tanto reali quanto fantastici, dove
l’affabulazione scatena una girandola di avvenimenti e relazioni possibili e
impossibili, dove la realtà si mischia all’irrealtà e all’assurdità di essere
coinvolti, per forza, perché autori, nel bailamme editoriale.” Quanto ti ci
ritrovi in questa asserzione? In che misura? E, soprattutto, perché?
Mi ci ritrovo perfettamente. Perché l’intenzione era proprio
quella da te descritta: mischiare le carte, rovesciare la situazione.
Rendere gli aspetti del romanzo per certi versi talmente inverosimili da
sembrare iperrealistici. In modo da lasciare nel lettore
l’impressione, o meglio un senso di smarrimento, che è il senso di
smarrimento della vita stessa, del suo significato, delle scelte “forzate”
che in quanto tali nemmeno possono essere definite scelte. La gabbia del
quotidiano vista dal di dentro con distacco e furore, con disprezzo e amore,
una miscela di sentimenti che alfine punta al cuore non tanto della
letteratura o dello scrivere, che sono solo e sempre mezzi per comunicare,
spesso, insoddisfazione e impossibilità di cambiare, quanto al nucleo che
pulsa in ogni essere umano: la percezione di sé.
6. Lo stile
de “I Personaggi” è particolare, è una lunga,
lunghissima tirata, un vortice quasi che assorbe parole e punteggiatura. Ci
potresti dire il motivo per cui questo stile e non un altro, magari più
semplice, o commerciale?
Sulla scelta
stilistica avevo già accennato in precedenza, ma riprendo molto volentieri il
filo del discorso. Volevo usare uno stile che facesse la parodia a un certo modo
di scrivere. E lo si sa, l’intento parodico meglio riesce se si porta alle
estreme conseguenze l’oggetto di tale intento. Così via la punteggiatura e solo
pause di senso e interpretazione. Ho immaginato la lunga tirata, come dici te,
Giuseppe, al pari di una piccola palla di neve che rotolando lungo un pendio
diventa sempre più grande sempre più grande fino a divenire un enorme e compatto
masso bianco che si va a schiantare contro la baita dell’ipocrisia letteraria
fatta di compromessi e usi impropri di lingua.
7.
E’ giusto dire che “I Personaggi” (edito per le
Edizioni Il Foglio) sono espressione d’un mondo, di un microcosmo personale
che coinvolge il macrocosmo italiano per disegnarne difetti e pochi – ma
davvero pochi – pregi?
Sì, ma oserei andare
oltre. Si tratta di una caratterizzazione universale, dove il bersaglio
principale è l’ipocrisia. Tutto, nello stile e nei contenuti, in questo romanzo,
punta a colpire la parte più infida di noi stessi, quella che ci ripromettiamo
sempre di analizzare ma che non scandagliamo mai perché ci procurerebbe dolore,
sofferenza. Il protagonista del romanzo raschia fino in fondo il proprio barile
emozionale per fornire di sé un ritratto il più possibile reale, talmente reale
da sembrare strampalato, pazzoide, se vogliamo. Eppure, questo è un altro dei
tanti messaggi che questo libro prova a lanciare; se togliamo i fronzoli, se
smettiamo di barare con la nostra coscienza(o quale cavolo di nome vogliamo
darle) e riportiamo a galla le motivazioni del nostro essere scevre da maschere
e pose manierate, allora forse la speranza di andare oltre il livello della pura
comprensione letterale può manifestarsi, perché uno dei grandi problemi di
questa nostra era è che non ci intendiamo, ci parliamo di proposito in modo da
non intenderci. E la scrittura, che è comunicazione, deve svolgere il compito
fondamentale di favorire lo sviluppo dialogante, altrimenti diventa mera
esibizione metaletteraria.
8. C’è (una) differenza fra il Poeta e lo Scrittore
che è Fabio Ciofi? E se sì, perché?
Beh,
la prosa e la poesia sono due modalità espressive così diverse, da importi
scelte formali e stilistiche molto distanti fra di loro. Io però credo di essere
sempre sostanzialmente lo stesso, o almeno spero di riuscirvi; nel senso
che il bagaglio accumulato attraverso i miei studi filosofici mi porta comunque
a una weltanschaung ben precisa che si palesa in ogni mia composizione,
sia essa in versi che a carattere narrativo. Cambiano, inevitabilmente, i
termini formali del discorso, poiché la poesia procede spesso, e la mia non fa
eccezione, per grumi di senso, per “fiammate” analogiche, simboliche,
metaforiche che non abbisognano di una linearità, di una cogenza logica. Il
campo della significazione poetica può spaziare dagli accostamenti per
associazione di tipo freudiano fino al preponderare del non detto e della mezza
reticenza o ancora del martellamento fonico. Cercare di riprodurre in narrativa
questo genere di impostazioni non è assolutamente facile, ed anzi, rischia di
risultare inconcludente, o di venire bollato come “il solito tentativo in prosa
di un poeta”, giudizio non proprio edificante poiché sta a voler
manifestare l’incapacità di immedesimarsi in un universo che necessita di altri
ingredienti retorici.
La storia della letteratura è piena zeppa di
grandi e grandissimi poeti che non hanno mai scritto un romanzo e viceversa,
di formidabili romanzieri alquanto a disagio – per usare un eufemismo –
nella padronanza del verso. La questione non è di poco conto, quindi. E pur
partendo da una poetica, una visione, una mappa teorica ben delineata,
occorre poi la non innata – poiché si nasce sempre con una particolare
predisposizione o all’una o all’altra – capacità di sapersi ben districare
fra poesia e prosa, tenendo conto delle loro suddette specificità. Tornando
al sottoscritto, posso dirti che la mia modalità espressiva “congenita” è la
poesia; quanto alla prosa si tratta e si tratterà di una acquisizione
continua di nuove opportunità derivanti da letture e incontri. Per il resto,
e in questo il Ciofi poeta e quello scrittore sono davvero la stessa cosa,
non sono mai soddisfatto fino in fondo di quello che scrivo. Ed è ciò che mi
spinge a riprovarci, a intraprendere ancora la via dell’opera successiva.
9.
“L’indifferenza dal punto di vista delle cose” è la tua ultima raccolta
poetica per i tipi Lietocolle: vorresti parlarcene?
In Lietocolle, prima che un editore, ho trovato un gruppo di amici che hanno
veramente a cuore la poesia, la passione per essa. In primo luogo devo molto a
Diana Battaggia, la mia principale referente, che si è occupata di tutte quelle
faccende “burocratiche” che tanto angosciano gli autori. Il libro raccoglie una
silloge di una quarantina di poesie, scritte successivamente all’ultimo testo
apparso in volume per i tipi di Joker, del 2000, intitolato “Vae victis”.
Il tema che affronta è insito nel titolo stesso, ed è un tema che riguarda
le cose, gli oggetti, il mondo inanimato che ci circonda. E’ chiaramente un
tema che viene assunto per mille pre-testi atti a chiamare in causa il
concetto di indifferenza anche “dal punto di vista degli umani”, oltre
naturalmente ad invitare alla riflessione, di chiara matrice
filosofica(penso a Nietzsche e a Wiitgenstein e a Heidegger), su tempo,
nichilismo, senso e “indifferenza “ del linguaggio rispetto ai propri
corrispondenti materiali, ai propri correlativi oggettivi.
10.
Nella lirica che dà poi il titolo alla silloge, questi tuoi versi: “Il tempo
è uno spazio che boccheggia/ senza fiato. Un alone d’affanno/ che non parteggia.
[…] Il sistema ha già decretato./ Non farti ingannare dal punteggio/ incerto. La
sabbia nella clessidra/ è il deserto.” Quale l’interpretazione dal punto di
vista dell’Autore, Fabio Ciofi?
Eh, già, come
dicevasi: tempo, senso, nichilismo. Sono in effetti tre delle mie principali
“ossessioni” poetiche, e non solo. “La sabbia nella clessidra/è il deserto”
credo non lasci adito a dubbi.
11. A proposito de
“L’indifferenza dal punto di vista delle cose”, scrive Giammario Lucini:
“…seguendo il pensiero del logico austriaco, Ciofi non prende neppure in
considerazioni le nebulose titubanze cartesiane, la possibilità di inganno o di
vivere in un sogno, ecc. ecc., è ovvio che la materia del suo poetare è la
realtà più cruda dei fatti, presa, come suo carattere, di petto e talvolta con
violenza verbale.” Potresti spiegarci che cosa significa per te “la realtà
più cruda dei fatti”?
A questa domanda ti posso
rispondere semplicemente autocitandomi(mi perdonerai…):”(…)bioetico un cazzo,
con la rata scaduta/e questa vita da canaglia.” Ecco “la realtà cruda dei
fatti”, la quotidiana lotta, ecc.ecc. Poi, che esistano mondi possibili,
paralleli, repubbliche delle idee governate dai filosofi, la possibilità di
vivere come in un sogno, l’inganno, a me non interessa se trattasi o no di
illusioni, è ininfluente, inutile, quindi non vale la pena di prenderlo in
considerazione, che era poi la teoria di fondo, in pillole, certo, del grande
logico austriaco Ludwig Wittgenstein.
12. Quali le dimensioni poetiche nella tua ultima silloge? Ma ci
sono? E se sì, come comunicano fra di loro?
Diciamo che cerco di curare molto la corrispondenza fra il piano dei contenuti e
quello dello stile, che poi è una delle peculiarità fondanti della poesia. La
dimensione filosofica è spesso esplicitata dalla chiusa, di solito una sentenza
fintoironica o apertamente paradossale che ricalca la mia predilezione per
l’epigramma e per l’aforisma, mentre l’aspetto ritmico è sottolineato con
frequenza da rime accostate, assonanze, quasi rime, rime al mezzo, omofonie,
lallazioni et similia.
Per quanto riguarda i registri, mi piace
passare da un aulico riadattato ad un parlato comune ove inerire proverbi,
motti, detti, anch’essi rivisitati, al fine di ottenere quell’effetto di
straniamento e rovesciamento che, nelle intenzioni, dovrebbe accostare la
lettura di queste poesie a un crescendo dove il caos e, di conseguenza,
l’entropia, la fanno da padroni. Poi, essendo il linguaggio poetico di per
sé polisemico e pluridimensionale, lascio a chi di dovere individuare altri
aspetti e/o sfumature.
13. Che cosa è per te la Poesia, quella che è Tua, oggi?
Poesia per me oggi è soprattutto
resistenza. Alla realtà, alla tentazione di lasciar perdere,
a non indulgere verso se stessi. La mia è una visione eroica, per certi
versi “epica” della poesia. Non tanto nelle forme, ma nei contenuti, e, in
particolar modo, nell’approccio mentale. Una forma di lotta, insomma.
Contro, come già detto, un nugolo di “nemici” più o meno domestici, più o
meno pubblici, più o meno politici, sociali, economici. E’,
fondamentalmente, la rivendicazione forte e indissolubile, della propria
libertà, della propria indipendenza.
14. So che hai diversi progetti che a breve che si
concretizzeranno in “La bicicletta” (raccolta di
racconti per i tipi Mobydick) e “Va tutto bene”
(silloge per i tipi Manni, Lecce): potresti accennarci qualcosa…
Per quanto riguarda “La bicicletta”,
direi che siamo a buon punto, visto che ha già superato il giro delle
seconde bozze, per cui penso che a marzo già la si dovrebbe poter trovare in
libreria. Perché nonostante il discorso fatto in precedenza sui piccoli
editori e sulle loro difficoltà di diffusione e distribuzione, Mobydick la
si riesce abbastanza agevolmente a reperire nelle librerie del nord e della
Toscana(Firenze soprattutto). Si tratta di dieci racconti che prendono il
titolo dal primo della suddetta raccolta e che, rispetto alla precedente,
“Il paese di C.”, (sempre Mobydick, anno 2001), presenta un
tentativo spero realizzato di allungare il passo narrativo e distinguerlo
sempre più da quella gabbia retorico-poetica della quale parlavo sopra.
La nuova raccolta in versi, dal titolo ancora provvisorio, attualmente la
ribattezzerei “Va tutto lento”, nel senso che devo rivedere diverse cose,
sostituire alcune liriche, altre depennarle del tutto e rendere minimamente
organico un complesso di oltre 100 poesie(operazione non facile vista anche
la tendenza alla lirica conclusa in sé che mi contraddistingue).
Sottolineerei infine l’uscita di due libri che riguardano, anche se non in
maniera esclusiva, il sottoscritto: il primo è stato pubblicato in
Inghilterra, dalle edizioni Troubador
(va a finire che mi fanno baronetto!) ed è un testo antologico dal titolo
“Poesia del dissenso” che raccoglie sillogi mie, di Rossano Astremo, di
Erminia Passannanti(che ne è anche la curatrice) e Gianmario Lucini. Il
secondo è stato dato alle stampe dalle edizioni
Interlinea di Novara, è a cura di Marco Merlin, condirettore
della rivista Atelier, e si chiama “Poeti
nel limbo”, dove sono antologizzato assieme ad un nutrito gruppo
di “colleghi” nati negli anni che vanno dal 1952 al 1965.
Entrambi
i libri sono usciti verso la fine dell’anno appena trascorso.
15.
Fabio Ciofi ieri, chi era/chi è? E Fabio Ciofi, quello di oggi?
Se posso farmi un complimento, sono uno che vent’anni fa già
prevedeva come sarebbero andate le cose oggi. Se posso farmi un rimprovero,
l’averlo previsto non ha fatto sì che ciò non si avverasse! Per il resto,
credo di aver imparato, rispetto al passato, a convivere con l’impazienza,
con la noia, la quotidianità, la monotonia, il vuoto, la paura. Poi potrei
tediarti con quelli che erano i sogni e le illusioni, tipo fare il
giornalista, lo scrittore, divenire un grande giocatore di ping pong. Oggi
vorrei solo guardare un po’ meno indietro, occuparmi di più delle persone
che mi stanno vicine(ma la smetto che altrimenti entro di diritto in una
delle storie del libro “Cuore”) e continuare a conoscere persone preziose
come te e tutto il gruppo di King Lear.
16. Grazie Fabio, sei stato
gentilissimo. Ti lascio libero di esprimerti a ruota libera, magari dicendo
su un argomento importante che, attraverso le domande di questa intervista,
ho dimenticato di toccare. A te la parola.
Grazie a te Giuseppe. Intanto due parole per dire che spero di continuare
a lungo a collaborare con King Lear e col gran bel gruppo che lo compone. Un
saluto a tutti. Poi, per concludere, vorrei tornare sul mondo editoriale per
annotare che forse qualcosa si sta muovendo, forse non è la luce alla fine del
tunnel, ma l’antologia cucchiana sui giovani trentenni per Mondadori,
quella di Merlin sui loro fratelli “maggiori”, quella “pregnante” di
Gian Ruggero Manzoni per le edizioni Diabasis, mi inducono a pensare
che magari anche la critica, a lungo latitante, riprenderà di nuovo ad occuparsi
del presente, dell’esistente, che al momento mi pare di poter affermare che è
davvero consistente (perdonate la rima!), abbandonando lo sdegnoso aventino
sul quale da qualche tempo si è ritirata. Critici del calibro di Giampiero
Marano, Emanuele Trevi, lo stesso Merlin, Sandro Montalto, Massimo Sannelli,
Giuseppe Iannozzi, Gianmario Lucini, Gianfranco Fabbri, Roberto Galaverni, Gian
Ruggero Manzoni e altri che adesso ometto per non dilungarmi troppo
nell’elenco, fanno davvero ben sperare.
L’introduzione a
“I Personaggi”
di Fabio Ciofi
(di Giuseppe Iannozzi)
L’editoria, un mondo insidioso, impossibile da guardare
senza rimanerne terrorizzati, perché è giungla di “personaggi”, di troppi
bennati, che reggono parti col sorriso a trentadue denti e un mezzogiorno di
fuoco nell’anima. E il perdente, in questo scontro a fuoco, sotto il sole
cocente, non può che essere l’Autore, l’Artista che scrive per dar voce a sé
stesso ma soprattutto a quanti leggeranno il suo lavoro. John Wayne a proposito
di “Mezzogiorno di fuoco” ebbe modo di dichiarare: “Così è piaciuto a tutti.
Invece è la cosa più antiamericana che io abbia visto nella mia vita, con il
vecchio Coop che getta via il distintivo della United States Marshal e lo
calpesta.” In realtà, il vecchio Coop non calpestava propriamente il
distintivo, molto più semplicemente gettava il suo distintivo di sceriffo ai
piedi degli abitanti del villaggio, che avevano solo mostrato codardia paurosa
rifiutandosi di aiutare il vecchio tutore della legge nell’affrontare Frank
Miller, il cattivone di turno che mirava a prender tirannico possesso della
piccola cittadina del West. Fu un film i cui protagonisti-attori, durante la
premiazione agli Oscar del 1952, vennero consegnati a pesanti critiche da parte
di molti: si viveva l’illogica furia maccartista, e il film di Fred Zinnemann
ottenne, sì, qualche statuetta, ma non quante gliene sarebbero spettate se la
critica fosse stata onesta. Gary Cooper ottenne comunque l’Oscar come migliore
attore, e a ritirarla fu John Wayne, in quanto Gary era occupato sul set di
“Vera Cruz”.
La situazione editoriale, oggi, ideologicamente non è
molto diversa da quella che Zinnemann descriveva nel suo capolavoro di
celluloide: c’è un Frank Miller palesato o nascosto nell’editoria che subito
tarpa le ali agli scrittori, ai poeti, e che mira senza scrupolo alcuno a
globalizzare i cataloghi. E il pubblico, questo subisce in silenzio: se gli
editori propongono i soliti quattro autori in catalogo, evidentemente,
ingenuamente, il pubblico si lascia catturare, e acquista purché non si dica
che gli italiani sono popolo di non lettori. Che poi i libelli acquistati
vadano a concimare pareti di libri mai aperti, buoni solo a far mostra di
sé, poco o nulla interessa il pubblico avaro di squadernare sua arroganza
nel dirsi attento alle novità editoriali e agli autori. Il pubblico è
pavido, incosciente, distratto, vessato, incapace di reagire, forse poco o
nulla cosciente che la sua propria coscienza è acquistata, day after day, a
suon di miti e oscar. Esistono sul mercato tanti manuali che danno contro
l’editoria, così tanti che il critico ne ha una paura folle: si scrivono
saggi contro l’editoria per dar vita ad una finta editoria di
controtendenza. Il critico, quando critico veramente, ha paura, si ritrae al
pari del pubblico. I più furbi, o assennati, mostrano totale indifferenza
nei confronti di simili pubblicazioni.
Ed ecco, allora, “I
Personaggi” di Fabio Ciofi, un poeta, un umile che è un Gary Cooper moderno,
pronto a sorridere con piena onestà ma non a lasciarsi conculcare né dal
Pubblico né dalla Critica. Ne “I Personaggi”, l’Autore non dà semplice stura
allo sfogo artistico-espressivo di denuncia tanto per abbaiare: è una storia
completa quella che Ciofi racconta, una storia lunga, dove i personaggi sono
tanto reali quanto fantastici, dove l’affabulazione scatena una girandola di
avvenimenti e relazioni possibili e impossibili, dove la realtà si mischia
all’irrealtà e all’assurdità di essere coinvolti, per forza, perché autori,
nel bailamme editoriale. L’Autore de “I Personaggi” non è un vigliacco, ed
esce da questo “mezzogiorno di fuoco editoriale” a testa alta, pronto a
sfidare non solo il Pubblico e la Critica ma anche sé stesso. E’ questo un
atto di estremo coraggio artistico, intellettuale e di denuncia, non un
semplice romanzo.
I Personaggi – Fabio Ciofi – 2004 – Edizioni Il Foglio Letterario - pag. 110 -
euro 10,00
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